STORIA DI LUCA: IL TALENTO DA SCOPRIRE
Setting the scene: Fatti, non parole. L’integrazione culturale non è cosa semplice, Italia ed Egitto sono distanti tanti chilometri, per religione e per cultura. Un padre di famiglia, oberato dalle responsabilità non ha tempo di parlare, in quanto padre e in quanto uomo deve fare, dimostrare che lui e i suoi figli in Italia possono stare. Non c’è tempo per lo svago, solo lavoro, scuola, risultati. Lo sport, se può essere considerato fattibile deve essere solo agonismo, risultati e talento. Luca incontra la palla, il canestro e a testa bassa corre per fare punti, per arrivare primo, per dimostrare di avere talento per tutto, per essere accettato…chi poteva immaginare che quell’ora di basket sarebbe stata l’occasione per grandi scoperte?
Personal challenge and positive action: una sera come tante Luca è salito su quel pulmino insieme alla sua classe ai suoi maestri e ai suoi allenatori per andare a vedere l’Olimpia, per camminare sul parquet calpestato da uomini effettivamente talentuosi. Incredulo e silenzioso Luca osservava questo mondo fatto di cori, applausi e i suoi occhi sono pieni di domande; ma io avrò un talento? Sul campo della scuola Luca ha scoperto di avere molto più di quello che hanno i grandi campioni: una tifoseria tutta per lui, dei compagni di squadra da cercare con lo sguardo e con i quali costruire grandi azioni; ha giocato con grandi campioni alti fino al cielo, scesi in campo apposta per giocare con lui, che lo hanno incoraggiato e gli hanno fatto magici assist sotto canestro e che gli hanno raccontato e dimostrato che il talento non sono solo i risultati, ma il vero talento di uno sportivo è non mollare mai…Luca oggi entra in campo consapevole di avere tanti talenti che lo rendono degno di essere acclamato: saper sorridere, saper vincere e anche perdere, cadere e poi rialzarsi. Se molti non sanno definire il talento, lo sport fa crescere il talento di affrontare ogni giornata a testa alta, a prescindere dal risultato. Praticare uno sport è la strada per esplorarsi e scoprire il proprio talento nella vita, perché tutti ne abbiamo uno dobbiamo solo avere la pazienza di scoprirlo e di accettarlo, solo così potremo sentirci accettati per quello che siamo. Ecco la grande scoperta che Luca ha fatto nel progetto One Team.
STORIA DI ANNA: LA SCOPERTA DI UN MONDO DI GIGANTI VERI
Occupare un posto nel Mondo non è cosa semplice, anche quando un corpo occupa tanto spazio non è detto che sia consapevole che quello spazio sia proprio suo… avere gambe lunghe per fare grandi passi è solo un’illusione se non si ha la certezza di dove andare. Anna in mezzo ai compagni di classe non sembra una bambina della scuola primaria ma i suoi occhi pieni di domande confermano che ha solo dieci anni. In ogni suo movimento Anna. è tanto cauta da sembrare impacciata: come se ogni cosa intorno a lei potesse rompersi se fosse in grado di tirare fuori la voragine di emozioni che non sa raccontare né mostrare. Ogni passo di Anna. è incerto, il suo corpo non le appartiene, e ogni cosa, dalla matematica all’italiano, dal camminare al correre, è fatto con la lentezza di chi cerca un compagno di viaggio e non trovandolo rallenta. Lo sport non si lascia impressionare dalle misure, grandi e piccoli possono scoprirsi capaci di cose incredibili. Quel canestro per Anna. è non è poi così lontano, ma il pensiero di poter conquistare punti, per lei, così dolce nella sua insicurezza, così piccola nella sua grandezza, è un pensiero lontanissimo. Lo sport ci mette a nudo: ci avvicina ai nostri limiti, ci fa esplorare risorse sconosciute e ci permette di vederci da nuove prospettive. Nel progetto basket for Good , Anna che con la sua mole si sentiva una bambina tanto diversa e tanto inadeguata, ha fatto una scoperta che forse potrà cambiare il suo percorso: ha visto uomini alti come grattacieli, fuori misura proprio come lei, destreggiarsi con eleganza con un pallone tra le mani, saltare così in alto da dare l’illusione del volo…diversamente alti, diversamente grandi e incredibilmente adeguati. Improvvisamente quel loro essere giganteschi non è poi così male… Un passo lungo arriva presto in lunetta e il rimbalzo recuperato con facilità diventa presto un punto che porta alla vittoria. Anna non è troppo, e niente è troppo per Anna. Il suo spazio in campo è rispettato dai compagni, il suo viso è illuminato da un sorriso, negli occhi brilla la felicità di chi si sente accettato e che si accetta.
STORIA DI FRANCESCA: VINCERE LA DIFFIDENZA TIFANDO OLIMPIA
Setting the scene: Ogni età ha le sue incomprensioni. E nella vita non si riesce a capire tutto. La piccola Francesca è un’incompresa da sempre. E’ difficile a 9 anni capire e accettare che il tuo eroe , il tuo papà , improvvisamente non verrà più a prenderti fuori da scuola ma sarai tu ad andare a trovarlo in un posto che ha gli orari per le visite. E’ difficile per bambini di 9 anni capire il dolore e la vergogna di Francesca. E a volte anche insegnanti formate per comprendere ragazzi in crescita e situazioni familiari complesse, possono non capire e non accettare situazioni come quelle di Francesca e involontariamente giudicarla ed etichettarla come figlia di un detenuto. In un’età cruciale Francesca cambia scuola cambia compagni nella speranza di trovare insegnanti e amici comprensivi, che la accettino per quello che è, una bambina di quinta elementare che è arrabbiata con la vita e che non sa più di chi ci si può fidare. Francesca incontra il progetto One Team in questa fase della vita, diffidente verso insegnanti e allenatori, convinta che nessuno le insegnerà qualcosa di bello perché prima o poi quelle persone potrebbero lasciarla sola o giudicarla. Con estrema diffidenza Francesca ha palleggiato per il campo della scuola, con diffidenza ha incontrato i giganti della pallacanestro italiana, con diffidenza ha mostrato entusiasmo sugli spalti della tifoseria di Olimpia Milano.
Personal challenge and positive action. Un giorno seduta in quel cerchio che accoglie e che dà a tutti diritto di parola, Francesca ha domandato a quel giocatore troppo alto per essere vero se la pallacanestro gli ha permesso di trovare amici che non ha perso. Quel giorno Francesca ha condiviso con tutti noi la sua paura più grande quella di restare sola, e averlo detto in quel cerchio le ha dato risposta, lo sport non lascia soli, e una squadra può essere una famiglia; della palla a spicchi e del canestro a fondo campo ci si può fidare, se vinci o perdi potrai sempre rientrare in campo un po’ più forte, e ricominciare. Francesca ha cominciato a sorridere, e le liti con i compagni molto frequenti in classe, quelle continue messe alla prova, in campo sono scomparse, Francesca non urla per rabbia ma per farsi passare la palla o per contare a voce alta i canestri della sua squadra.
Impact: Grazie al progetto One team Francesca ha ricominciato a credere che le cose belle sono belle anche per lei, ha ricominciato a sperare e la sua progressiva apertura le permetterà di non sentirsi più così sola o diversa.
STORIA DI GIUSEPPE: BASKET FOR GOOD PER SUPERARE I PROPRI LIMITI
Andare a scuola, imparare a leggere e a scrivere, una cosa normale, ordinaria, che fanno tutti. Qualcosa di difficile, a tratti anche noioso…Molte culture attribuiscono all’istruzione un ruolo assolutamente rilevante nella crescita dei bambini, molte ma non tutte… Giuseppe vive in un campo rom, a Milano, la priorità per la famiglia di Giuseppe non era mandarlo a scuola, anzi, per suo padre Giuseppe non era proprio una delle priorità. Tante cose Giuseppe avrebbe voluto imparare, vedeva la pioggia, le macchine, gli altri bambini…ma non poteva sentire il rumore delle gocce sul vetro, il fragore del traffico, le grida di bambini come lui…nemmeno il suono della sua stessa voce, perché Giuseppe è nato sordo. Passava fin da piccolissimo le sue giornate nella baracca del campo, a volte da solo. Le giornate erano lunghe e il silenzio attorno a lui assordante. Giuseppe a 9 anni, non potendo andare a scuola trascorreva i suoi pomeriggi a ricopiare dei segni a lui sconosciuti, le lettere dell’alfabeto, lettere che la mamma gli lasciava come passatempo scritte su un foglio.
Un pomeriggio di pioggia un’operatrice di una comunità vicino ha visto Giuseppe seduto a terra che a lume di candela ricopiava queste lettere con impegno e dedizione e tanta speranza negli occhi. Occhi che hanno visto tanto, tanto da compensare quello che Giuseppe non ha potuto sentire, tanto da costringere il corpo di Giuseppe a muoversi senza controllo per la voglia di esprimere quanto aveva visto. Grazie all’intervento della comunità, oggi Giuseppe va a scuola, segue tutte le lezioni con curiosità e partecipazione difficili da trovare in un bambino della sua età. Quando le cose si fanno con il cuore, tutto è possibile.
Giuseppe infatti ha preso parte nell’ultimo mese al progetto Basket for Good con la sua classe, e mentre corre dietro al pallone o prende un rimbalzo, guarda il maestro , uno dei suoi angeli custodi, e sorride come a poter dire “guarda cosa sto facendo, guarda come sono bravo”. Lo sport è per chi non molla mai. Imparare non è solo una questione di ascolto e presenza, ma è forza di volontà, e tutti i bambini, con quella forza, normodotati o con handicap, possono anche volare. Fare attività sportiva è possibile per Giuseppe, anche togliendo l’apparecchio acustico, lo sguardo di Giuseppe infatti è magnetico e non perde un passo dei due allenatori in campo, che con quel pallone arancione fanno cose bellissime. Giuseppe partecipa alle staffette, alle gare di tiro, sostenuto dai compagni che sono contagiati dalla sua voglia di imparare. Grazie al progetto Basket for Good, Giuseppe sta imparando l’ABC della pallacanestro per poter un giorno scrivere, tra un passaggio e un tiro, la storia speciale di quel magico bambino che non sentiva il pallone ma lo faceva volare