Un bambino come tanti altri, forse un po’ sovrappeso, che sbrigativamente si potrebbe definire iperattivo. È Carnevale e sul viso ha una grossa cicatrice dipinta, vistosa ed eccessiva, il segno di una vita in una periferia complicata. E ciò che lui mette in scena è la ferita. Dove è la mamma? E il padre? Gli educatori si fanno inutilmente queste domande. Come trascorre il suo tempo? Dalla violenza del suo atteggiamento sembra chiaro che a casa botte e maniere forti siano l’unico linguaggio. È questa la vita passata attraverso gli otto anni di Marcus.
Il nonno che lo accompagna e lo viene a prendere a scuola ha le rughe e i capelli bianchi, il bastone e il passo rallentato. Potrebbe avere avuto un incidente, zoppica in modo troppo accentuato.. Se a casa intravvediamo per Marcus solo abbandono e trascuratezza, l’unico che si prende cura di lui come può, che controlla il diario, lo accompagna puntuale al mattino e lo riporta a casa al suono della campanella è proprio il nonno, un uomo solo, anziano, che parla solo dialetto e non conosce modi per addomesticare i disturbi della crescita del nipote, ma che per lui è una certezza, lui a modo suo c’è sempre. Che futuro attende Marcus?
La scuola di via Polesine a Milano vanta un team angelico invidiabile che supporta bambini e bambine in crescita in una periferia milanese sempre più degradata. Non è magia, è frutto di un percorso formativo: in questa storia gli angeli si manifestano come persone in carne ed ossa. Le maestre Silvia e Paola, mamme di professione, che lasceranno il segno nella vita di Marcus e molti altri bambini. E poi Chiara, Giulia e Antonio, gli allenatori di minibasket, fischietto al collo e sorriso, a testimonianza che la vita anche in piazzale Corvetto può essere meravigliosa.
Mentre la Fondazione Laureus sta celebrando gli Sports Awards, la più prestigiosa competizione mondiale in questo settore, il Direttore Daria Braga ci ricorda che “Oggi esiste una preoccupazione diffusa. Avvertiamo che il futuro di noi tutti passa attraverso le qualità umane delle future generazioni. Società, scuola e famiglia sono alla ricerca di alleati per riuscire a costruire persone capaci di dare il meglio di sé con lealtà, coraggio, abnegazione, capacità collaborativa, senso del competere dentro un sistema di regole condivise, senza scorciatoie, senza barare con il mazzo di carte della vita”. Questo è il nocciolo della filosofia della Fondazione Laureus, che tutti possiamo e dobbiamo sostenere per aiutare i bambini ad uscire da un vicolo cieco.
Il basket è uno sport di punta degli Awards, ed è il miracolo che ha sollevato dalla polvere il piccolo Marcus. Lui è’ stato inserito nel progetto Laureus minibasket l’anno scorso, con grandi difficoltà…le sue difficoltà erano su tutti fronti: rapido nel correre fuori dalla classe o nel tirare calci e pugni, ma lento nella lettura nel calcolo e nella scrittura…ogni impulso in Marcus era fuori controllo, un abbraccio troppo stretto, una spinta troppo forte, bambini o adulti era indifferente, urla e parolacce erano intervallate da parole dolci e sussurrate…Il suo sorriso poteva scatenarsi in un pianto disperato senza motivo…nessun compagno aveva il coraggio di avvicinarsi a lui , nessuno tentava di giocare con lui…Le maestre in attesa di un insegnante di sostegno hanno giocato la carta dello sport per aiutare Marcus . Nei primi allenamenti restava in campo solo qualche minuto, litigava con la metà dei compagni e poi spalancava le porte a vetro e correva nel cortile della scuola senza sosta per un’ora, alla disperata ricerca di un po’ di pace. A volte la sua disperazione era tale da fargli trovare la forza di sollevare panche e sedie e scaraventarle con quella furia che percorreva la sua testa e il suo corpo, una furia in attesa di un nome e di una cura. Disturbi dell’attenzione, iperattività, difficoltà relazionali…quanto può influire un’etichetta sul modo di essere di una persona e ancora più di un bambino?
Marcus in palestra era semplicemente un giocatore come tutti gli altri, messo in panchina all’occorrenza, corretto nei fondamentali, preso ad esempio per la sua velocità nel correre da una linea all’altra. Per qualche mese il suo livello di attenzione non raggiungeva l’ora ma gli allenatori alternavano momenti di gioco a momenti in cui Marcus poteva essere una sorta di aiutante/viceallenatore, finalmente riconosciuto per qualcosa che sapeva fare bene, che fosse riordinare o fischiare e non più differenziato dagli altri.
In campo nessuno lo ha più allontanato né provocato, anzi i compagni hanno iniziato a cercarlo e solo nel contatto con loro questo bimbo ha imparato a dosare la forza delle sue spinte e dei suoi abbracci, avere degli amici non era così male. Tutto quello che è un po’ troppo fa paura inizialmente…ma le guide tra i banchi di scuola e in campo possono costruire scenari unici.
Ci dice Giulia, la sua allenatrice, che ha già vissuto lo stesso tipo di realtà a Napoli: “Marcus ha fatto enormi cambiamenti in positivo. Ancora adesso è spesso al centro di litigi, ma fortunatamente ha imparato a riconoscere in me l’autorità e mi rispetta”. “Mi rendo anche conto – prosegue – che va avvicinato con dolcezza, un linguaggio che lui non conosce. Le sue richieste di affetto hanno mille sfumature”.
Il miracolo di Marcus e del suo sapere stare meglio in mezzo ai compagni è uno dei tanti miracoli dello sport: il confronto con i compagni, la condivisione di un campo, di uno spogliatoio e di un urlo liberatorio a fine allenamento tolgono etichette superflue e fanno sentire squadra le personalità più disparate. Squadra che per qualcuno diventa sinonimo di famiglia, e quando senti che per qualcuno sei indispensabile, diventi un miracolo vivente. Oggi Marcus è parte del team di Milano in via Polesine e si prepara ad affrontare il torneo di marzo con entusiasmo. Passione, tenacia ed impegno: chi di noi non lo vorrebbe nella sua squadra?