20 luglio 2018
Mi chiamo Daniela e lavoro in una famosa azienda che produce scarpe ed abbigliamento sportivo. Questa mattina non si lavora. Con la mia divisione andiamo a fare una giornata di formazione in una scuola di Gratosoglio estrema periferia milanese. La giornata sarà gestita da Fondazione Laureus.
Cerco su Google prima la zona. Immagini di un’architettura terrificante. Escono dalla rete decine di progetti e di interventi sociali molto belli e qualche episodio di cronaca nera: soprattutto spaccio, danni all’arredo urbano, bullismo. Mi colpisce un episodio successo anni fa…
“Mi chiamo Esmeralda, ho sei anni e mezzo. Oggi la maestra ci ha detto che nel pomeriggio verranno dei signori a giocare con noi e ci regaleranno una maglietta. Speriamo non ci parlino troppo a lungo. Io sento un po’ ma poi mi stufo…”
Anni fa proprio in questa zona – legge Daniela – un nonno e la sua nipotina furono uccisi durante un conflitto a fuoco. Un uomo che voleva uscire dal giro della droga inseguendo coloro che avevano appena importunato la sua giovane moglie incinta, sparò cieco di rabbia e colpì i due innocenti che si trovavano nella traiettoria.
“Speriamo che la maglietta sia bella – pensa Esmeralda – ma soprattutto nuova. Io devo sempre mettere quelle delle mie sorelle più grandi. La mamma dice che non devo fare storie. Però quella smorfiosa della mia compagna di banco mi scherza spesso. L’anno prossimo voglio giocare in una squadra di sport. Mi piacciono un po’ tutti. Con le mie compagne andiamo. Speriamo non costi tanto altrimenti la mamma dirà di no”
Arriviamo alla scuola insieme ai colleghi, dentro è molto curata. Si vede che c’è stato uno sforzo enorme di abbellimento. Chissà se quella bambina il cui padre ha sparato quella volta frequenta questa scuola. Al mattino ci presentano il lavoro della giornata. Imbiancare alcune aule e poi provare dei movimenti che Laureus consiglia per migliorare l’immagine di sé dei bambini. Dice il loro conduttore che se un ragazzo si sente bene all’interno del proprio corpo, coordinato, in equilibrio, capace di una gestualità armonica, porterà con sé le fondamenta sulle quali appoggiare la resilienza che lo sport concorrerà a far sviluppare.
Incominciamo a muoverci e le proposte riproducono movimenti di animali: il giaguaro che arriva velocissimo e poi si ferma su una gamba sola in attesa dell’agguato, poi l’airone, il canguro, il cavallo. Ad ogni animale corrisponde una diversa coordinazione da interpretare. Poi entra in scena il salto della corda. Bellissimo, mi sento tornare bambina, poi mi chiedono anche di essere creativa, e via a provare numeri da circo.
“Ho visto dalla finestra i signori che saltavano la corda … che brava quella con la coda di cavallo. Speriamo che al pomeriggio facciano saltare anche noi”
Finito questo divertente allenamento volto ad imparare delle tecniche che cercheremo nel pomeriggio di trasferire ai bambini che incontreremo, ci dedichiamo a dipingere le aule. Hanno scelto dei colori molto belli, bianco e blu, e noi a pitturare come novelli imbianchini intenti a donare un po’ di bellezza a questi futuri uomini e donne.
“Finalmente la maestra ci dice che possiamo incontrare i signori. La maglietta è bellissima, chiedo tre volte alla maestra se poi ce la lasciano per sempre. Ogni grande starà con un piccolo. Cerco con gli occhi la signora con la coda e vedo che non ha ancora una bambina con sé. La guardo, lei mi sorride”
Ci presentiamo, la mia bimba è molto carina. Saltella come un grillo. Le mancano due denti davanti. A sei anni e mezzo succede. Le devo insegnare il movimento dell’airone. “Ti ho visto stamattina dalla finestra” mi dice. “Come andavo?” le chiedo. “Sei brava” mi dice.
Ci muoviamo nello spazio cercando la leggerezza di un volo, poi la velocità di un felino, l’andatura di un cavallo. Saltiamo insieme la corda poi la corda passa sotto le sue ascelle ed incomincia a correre ed io dietro di lei ad incitarla, ma anche a frenarla e guidarla. Il conduttore dice di guidare i bambini sulle strade del mondo con gioia ed attenzione.
Bellissimo, ci guardiamo sfinite con i sorrisi che reciprocamente ci illuminano il viso. Non l’avrei mai detto – pensa Daniela – di emozionarmi così. Pensa questi di Laureus cosa hanno organizzato!
Esmeralda non mi toglie gli occhi di dosso, al massimo si allontana di trenta centimetri. Qualche foto ed arriva il momento del saluto. Ci abbracciamo, ma vedo che Esmeralda mi annusa. “Aiuto” mi dico, ma il suo viso mi rassicura e mi dice: “vorrei diventare come te perché sai di famiglia”.
Laureus è anche questo.